RACCONTANDO LA DEDICAZIONE…

15 giugno 2015
…è passato ormai quasi un mese dalla festa della dedicazione della nuova Chiesa di Ol Moran! Raccogliamo una ulteriore testimonianza di Don Fausto, oltre a quella già pubblicata sul nostro sito (QUI) e sul periodico “Gente Veneta“, che potete leggere cliccando QUI.

In tutto il Kenya non c’è una chiesa bella come questa!”. Parola di don Piero, il cerimoniere della Diocesi di Nyahururu venuto a Ol Moran un paio di giorni prima per preparare la cerimonia della consacrazione della chiesa, dedicata a San Marco e fissata per domenica 17 maggio. Don Piero avrà sicuramente esagerato per compiacenza, ma ha detto una cosa vera. Si tratta di una chiesa molto bella e molto funzionale, opera dell’architetto Stefano Battaglia, della parrocchia del Duomo di Mestre da dove è partito don Giacomo Basso, l’attuale parroco di Ol Moran.
L’architetto Battaglia ha dato un’anima e un cuore a un iniziale ammasso informe di pietre. In due anni di lavoro un bozzetto di legno e di cartone è stato trasformato in una grande chiesa, orgoglio di tutti i cristiani di Ol Moran. E’ la loro chiesa, il luogo dell’incontro fra di loro e con il loro Signore. Nei giorni che hanno preceduto la grande festa li ho visti al lavoro. Tantissimi. E tutti consapevoli che stavano partecipando alla costruzione di un’opera straordinaria che li riguardava direttamente. Non una chiesa, ma “la loro chiesa”!

E’ la loro casa, il luogo dove sperimentare il fascino della fraternità, che supera ogni divisione, nella tenda – questa è la forma della chiesa – che Dio ha piantato in mezzo a loro, nel loro territorio. Con queste parole l’architetto ha consegnato alla comunità questa sua opera. Nei giorni precedenti alla festa sembrava di essere in un formicaio. L’impressione prima era di grande confusione e invece ognuno sapeva quale era il suo compito e lo svolgeva al meglio. E in mezzo c’era un regista che macinava kilometri andando di qua e di là a dar ordini, a rimproverare, a incoraggiare, a ringraziare. Era lui, don Giacomo, il parroco, il protagonista primo di tutta l’operazione.

L’idea della chiesa era nata già nel 1997, quando era parroco don Giovanni Volpato, ideatore e fondatore della missione. Ma l’anno dopo, nel 1998, erano scoppiati degli scontri fra le varie tribù e la missione era stata invasa da moltissime persone scappate agli scontri. Ci furono centinaia di morti. Nel 2005 altri scontri provocarono ancora tante vittime. L’idea della chiesa fu allora accantonata. Gli scontri avevano provocato un “deserto” nella zona della futura parrocchia. E in quella zona dove ieri ci furono tanti morti, oggi sorge una chiesa che crea unità fra le varie etnie. Saint-Exupéry, un grande scrittore francese autore del famoso “Piccolo principe”, scrisse che “se vuoi costruire fraternità devi mettere tutti insieme per costruire una torre; se invece vuoi costruire divisione e odio distribuisci un po’ di cibo”. Fu la prima scelta la decisione presa nel 2009 da don Giacomo e dal Consiglio pastorale della parrocchia, quando si riprese a parlare della costruzione di una chiesa. Non una torre, ma una chiesa. Per dimostrare che persone diverse possono lavorare insieme. Per dimostrare che il sogno cristiano della fratellanza puo trasformarsi in realtà. Una chiesa dentro alla quale tutti possono sentirsi come fratelli in casa propria.
E qui comincia il racconto che mi ha fatto il realizzatore di questo sogno, l’architetto Stefano Battaglia. “Fu un progetto condiviso, non calato dall’alto”. Nel 2009 l’architetto aveva presentato due ipotesi di costruzione: una chiesa quadrata, tradizionale, e una rotonda che richiamasse l’idea della capanna. Gli anziani del paese, i leaders locali e i responsabili pastorali discussero a lungo. Si arrivò alla decisione condivisa di una chiesa elittica e sufficientemente grande per contenere una popolazione che, dopo gli scontri tribali, aveva ripreso a crescere di numero. Il progetto fu approvato dal Vescovo locale e dal Patriarca di Venezia, il card. Scola.

Nel 2012 si iniziarono i lavori di scavo delle fondazioni e tutti gli abitanti, cristiani e non, si sentirono impegnati a portare grosse pietre da ogni luogo del territorio per contribuire a costruire un terreno solido sul quale la chiesa sarebbe stata costruita. Il 17 febbraio 2013 ci fu una grande festa per la posa della prima pietra e i lavori partirono alla grande. Scelta di materiali locali, ditta locale, mano d’opera locale, volontariato locale. L’architetto, che ogni due mesi partiva da Mestre per venire a verificare il corso dell’opera, nella forma elittica ha voluto mettere insieme l’idea della tenda e la prospettiva che all’interno porta lo sguardo alla grande croce che sta sullo sfondo, proprio dietro all’altare maggiore, collocato in posizione sopraelevata. Ma questa stessa prospettiva accompagna anche l’osservatore che arriva da lontano e scorge una grande croce che si eleva su tutta la costruzione al di sopra di una campanile dove il suono di tre campane segna il ritmo della giornata e richiama i fedeli alle varie celebrazioni.

Domenica 17 maggio 2015 c’e stata la grande festa. Da tutte le “cappelle”, che potrebbero corrispondere alle nostre frazioni, sono venuti in tantissimi per partecipare alla festa. Quelli che venivano da più lontano sono arrivati la sera prima e hanno dormito all’aperto sotto gli alberi. Cerimonia lunghissima. Dalle nove del mattino alle quattro del pomeriggio. Fra tantissimi volti neri qualche volto bianco. I genitori di don Giacomo, visibilmente commossi. Elena, la moglie dell’architetto: “Sono proprio molto contenta per quello che ha realizzato mio marito e perché vedo che la sentono come una cosa propria, fatta per loro e da loro. Una seconda casa”. Mauro Cesca, capo scout della parrocchia di San Marco di Mestre, tecnico della luce e dei suoni, che ha lavorato sodo nel passato e nei giorni immediatamente precedenti l’evento di domenica. E soprattutto durante tutta la festa per assicurare che voci, suoni e luci funzionassero al meglio. E ce l’ha fatta! Mauro Cesca aveva fatto il suo primo viaggio nel 2004 con il gruppo di giovani di San Lorenzo accompagnati proprio da don Giacomo, che precedentemente aveva svolto il suo servizio pastorale a San Marco di Mestre. Lì si erano conosciuti. “Pensavo di passare qui in missione tre anni e mi ero preparato per questo, mi confida. Poi problemi familiari mi hanno costretto a rinunciare”. Ci andò invece per due anni, Elisa Pozzobon, della parrocchia di San Lorenzo, presente anche lei nel gruppo dei giovani del 2004. Poi Mauro ci è tornato per altre otto nove volte. Per lavorare. In questa occasione l’impianto di illuminazione interno ed esterno era stato predisposto nei giorni precedenti da un altro tecnico volontario, Liviano Giusto della parrocchia del Tarù, che già nel passato aveva lavorato molto laggiù. Con lui anche Andrea Furlanetto, della parrocchia di San Lorenzo. E poi c’era anche don Giovanni Volpato, il fondatore della missione, commosso quando ha letto il messaggio del Patriarca Moraglia. In questi giorni dava l’impressione di essere tornato a casa fra tanti amici che lo cercavano e lo salutavano. E infine don Andrea Volpato, venuto anche lui più volte in visita a questa missione.

Il giorno dopo don Giacomo era molto contento di come era andata la festa, soprattutto per quanto riguardava la partecipazione dei fedeli locali, ma anche delle altre comunità cristiane e delle autorità civili. Mi ha raccontato le sue fatiche e i suoi sogni.
Insiste sul fatto che la costruzione della chiesa è stato il punto di arrivo di un lungo percorso pastorale, punto di arrivo di una comunità che nel tempo era cresciuta ed era diventata consapevole dell’esigenza di avere un luogo in cui celebrare l’incontro con il Signore. Che diventa incontro con i fratelli, che crea rapporti buoni che superano le differenze tribali e aiuta a vivere la fraternità.
Una comunità viva. Con un Centro pastorale che ha spazi disponibili per tutte le attività parrocchiali. Officina di falegnameria e lavori in campagna per l’autosostentamento. L’Hekima house, una Casa studentesca dove vivono ragazzi e ragazze che frequentano la scuola secondaria. La Tumaini Academy, poco lontano dalla parrocchia, dove ha sede l’asilo infantile e la scuola primaria della parrocchia. Trecento bambini che studiano e insegnanti locali del gruppo giovani della parrocchia che si sono formati nelle strutture statali. Una ventina di “cappelle” e comunità di base sparse su un territorio vastissimo. E poi i gruppi di bambini, di ministranti, di giovani. Il coro, le Associazioni, gli Scout, un gruppo numeroso e vivacissimo. E infine la comunità delle Suore. Preziose nel servizio pastorale, nel Dispensario, nella Casa per disabili e malnutriti, nelle visite ai malati nelle loro case o capanne. Insomma una vitalità straordinaria che trova nella nuova chiesa il centro di orientamento a partire dalla Messa quotidiana sempre molto frequentata e partecipata.

Ultima riflessione con don Giacomo prima di partire. Gli ho chiesto quali sono i suoi “sogni” e che cosa vede nel futuro della missione. Mi risponde che sente anzitutto il bisogno di cominciare una prima evangelizzazione su un territorio vastissimo che si trova a nord dell’attuale missione dove nessun missionario si è fatto presente finora. Si tratta di costruire una nuova comunità sulla falsariga della comunità cristiana di Ol Moran. Ma don Giacomo sente anche il bisogno di dare più spazio sul territorio di Ol Moran alla presenza culturale già iniziata con la scuola primaria e con la Casa studentesca. Che significa stabilizzare la primaria con la costruzione di un edificio in pietra che sostituisca quello in legno e fango. Creare una scuola secondaria parrocchiale. Essere presenti nelle scuole statali. Insomma intensificare il lavoro culturale per mettere insieme le diversità e creare comunione. Infine don Giacomo sente il bisogno di ringraziare tutti coloro che in questi anni si sono impegnati a sostenere il suo lavoro, sottolineando come Venezia abbia bisogno di respirare a pieni polmoni la dimensione missionaria. E’ un modo autentico per costruire futuro non solo in Africa, ma anche nella nostra chiesa. Per la nostra crescita prima ancora che per quello che si può fare per gli altri.

Don Giacomo ringrazia tutti e invita tutti a vivere in sintonia con il lavoro della missione utilizzando le nuove tecnologie che permettono di annullare le distanze: il nuovo sito www.olmoran.it , facebook all’indirizzo “Sain Mark Ol Moran”, l’Associazione Amici di Ol Moran amici@olmoran.it che sostiene il suo lavoro e promuove le sue iniziative sul territorio africano.
Don Giacomo è un prete giovane e entusiasta. Due caratteristiche esplosive. E gli effetti si vedono.


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